Il 12 agosto 2025 l' Università di Edimburgo ha annunciato risultati che stanno facendo discutere veterinari e neurologi: nel cervello di gatto anziano con segni di declino cognitivo sono state osservate alterazioni tipiche dell’Alzheimer umano.
La notizia, ripresa anche dalla stampa italiana, apre piste concrete per comprendere meglio la demenza felina e per testare terapie che possano giovare tanto ai nostri animali quanto alle persone.


Che cosa ha scoperto lo studio
Analizzando al microscopio i cervelli di 25 gatti deceduti di varie età, alcuni dei quali avevano mostrato confusione, vocalizzazioni più frequenti e sonno disturbato, i ricercatori hanno rilevato un accumulo della proteina beta-amiloide all’interno delle sinapsi, cioè i punti di connessione tra i neuroni.
La presenza di questo materiale tossico nelle sinapsi è considerata un segno distintivo dell’Alzheimer e si associa, nell’uomo, alla perdita di memoria e di funzioni cognitive. Nei tessuti dei gatti con demenza gli scienziati hanno inoltre trovato indizi di un’eccessiva “potatura” sinaptica operata da astrociti e microglia, cellule di supporto che, quando diventano iperattive, possono contribuire alla perdita di connessioni cerebrali.
Perché questa scoperta conta (per animali e persone)
Fino a oggi, molta ricerca sull’Alzheimer si è basata su roditori geneticamente modificati, che però non sviluppano spontaneamente la patologia. I gatti anziani, al contrario, possono manifestare naturalmente un declino cognitivo con caratteristiche sovrapponibili a quelle umane: per questo sono un modello più realistico per capire come, quando e perché le sinapsi vanno perdute.
La squadra di Edimburgo, insieme a partner del Regno Unito e della California e con il sostegno di Wellcome e UK Dementia Research Institute, sottolinea che studiare la demenza felina potrebbe accelerare l’arrivo di trattamenti più efficaci sia in medicina veterinaria sia in neurologia umana. In altre parole, quello che impariamo dai gatti potrebbe tornare ai gatti e tornare a noi, chiudendo un circolo virtuoso di benefici.
Segnali da non ignorare e cosa fare
Se il tuo micio anziano inizia a miagolare più del solito, sembra confuso in casa o dorme male, non archiviare tutto come “normale invecchiamento”. Gli stessi comportamenti sono stati descritti negli animali valutati dagli studiosi, e potrebbero indicare un disturbo cognitivo da indagare con il veterinario di fiducia. Una visita clinica, una raccolta accurata dei sintomi e un piano di gestione comportamentale e ambientale possono migliorare il benessere del gatto, in attesa che la ricerca – ora più mirata grazie al nuovo modello naturale – porti a terapie validate.
La risonanza di questa scoperta sui media italiani, nel giorno dell’annuncio, conferma quanto il tema sia sentito anche tra i proprietari e i clinici del nostro Paese.
Un tassello in più nel puzzle dell’Alzheimer
Il lavoro pubblicato il 12 agosto 2025 non è un punto d’arrivo, ma un passo decisivo: mappa dove si accumula la beta-amiloide (nelle sinapsi), collega il fenomeno alla perdita di comunicazione tra neuroni e suggerisce che controllare l’attività di microglia e astrociti potrebbe proteggere le reti cerebrali.
Questo rende la demenza felina un terreno di prova prezioso per testare farmaci e strategie già in sviluppo per l’uomo, evitando i limiti dei modelli animali transgenici. Per i proprietari, significa poter riconoscere prima i campanelli d’allarme e offrire ai loro compagni di vita un supporto più informato e compassionevole.