Pet therapy, cos’è a cosa serve la “terapia dell’animale di affezione”? Sempre più diffusa sia in Italia che all’estero, questa co-terapia (che non si sostituisce alle cure tradizionali ma le affianca) ha un origine molto antica che, secondo alcuni, risale già alla fine del 1700.
Era infatti il 1792 quando, in Inghilterra, lo psicologo William Tuke per primo invitò alcuni malati mentali a prendersi cura di piccoli animali domestici e registrò un aumento dell’autocontrollo dei suoi pazienti.
Cos'è la pet therapy?
Il termine pet therapy, che fu coniato nei primi anni ’60 dallo psichiatra americano Boris Levinson, indica tutti gli interventi assistiti con gli animali che funzionano grazie alla relazione che, naturalmente, si instaura tra uomo-animale (sia questo un paziente affetto da qualche malattia o un bambino o, ancora, un anziano).
Quando nasce la Pet Therapy in Italia?
Arrivata ufficialmente in Italia verso la fine degli anni 80, la pet therapy iniziò gradualmente a farsi strada anche nel Belpaese.
Dopo la Legge Regionale n. 3 del 2005 che per prima forniva disposizioni sulle terapie complementari come terapia del sorriso e, appunto, pet therapy, nel 2009, con il Decreto del 18 Giugno, il Ministero del Lavoro, delle Politiche Sociali e il Ministero della Salute istituirono l’istituzione “di nuovi Centri di referenza nazionali nel settore veterinario”.
Perché si fa la pet therapy?
Tra i vantaggi più immediati di questo contatto ci sono:
- un aumento dell’autostima, legato al fatto che l’animale, naturalmente privo di pregiudizi, non giudica chi gli sta di fronte;
- un aiuto nella socializzazione, che rende la co-terapia utile anche nella prevenzione del bullismo in età adolescenziale e pre-adolescenziale);
- un aiuto nella capacità di prendersi cura di qualcun altro.
Studi scientifici, infatti, dimostrano che, durante le sedute di pet therapy, nel paziente il battito cardiaco si regolarizza (per esempio grazie al potere calmante delle fusa del gatto) e calano, di conseguenza, ansie e paure.
La cosa fondamentale, però, è ricordare sempre che si tratta di un intervento che deve essere guidato da personale esperto e che deve essere definito sulle esigenze specifiche della persona da affiancare.
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Articolo revisionato da:
Francesco Reina
Assistente veterinario